Gheri è un cantautore conosciuto nell’ambiente musicale italiano per le sue collaborazioni con grandi artisti come Zucchero e Guido Elmio, produttore di Vasco Rossi. Attivo dagli anni 90 nel panorama rock, Gheri a 35 anni ha sfornato un disco molto interessante, Generazione 0 che è una sorta di compendio generazionale sulle ambizioni e delusioni dei giovani adulti del nostro tempo. Ascoltate Cuori Randagi per farvi un’idea (https://youtu.be/yjOO24H_Cig). C’è del rock di influenza americana nella sua musica, qualche accenno folk, molta ammirazione per Bruce Springsteen. “Ma non è un concept album – ci dice presentandolo – è più un disco con un contenuto che fila da una canzone all’altra”.
Perché hai scelto il titolo Generazione 0?
Ho cercato di esprimere un concetto e una fotografia di una generazione che è cresciuta con delle certezze e che sembrava essere fuori pericolo. Poi è successo che la storia ci ha tirato un brutto scherzo e che è diventata quella dei figli di mezzo.Però da lì si può ripartire, io dico: azzeriamo tutto e ripartiamo, iniziamo a viaggiare a luci accese e andiamo.
A quando risale la tua fase formativa?
Sono dell’81 sono stato adolescente negli anni 90, ricordo la guerra di Baghdad , all’epoca i miei mi facevano le foto per ricordarsi di quello che è stato. Sembrava un momento di grande cambiamento. Certo, non possiamo pretendere che la condotta del nostro mondo possa portarci a situazioni diverse. Era prevedibile per la mia generazione. Era scritto che avremo vissuto in un mondo di conflitti.
Come hai iniziato a lavorare nella musica?
Ho inziato a scrivere a 18 anni. Avevo vent’anni quando ho iniziato a lavorare Michele Torpedine, lui seguiva Zucchero, Andrea Bocelli. Ma il declino dell’industria musicale era già all’orizzonte, era alle nostre teste. Le difficoltà erano grosse, come oggi, ma l’amore viscerale per la musica mi ha fatto vincere tutte le incertezze. Io dico: se mi dai da mangiare bene, ma tanto io ho la musica. Non mi piace molto l’idea del lavoro di scorta quando devi mollare il colpo. La musica se diventa un lavoro è ok, ma è soprattutto aspetto creativo, ludico, può convivere con altre cose, ma se diventa un lavoro non smette mai di accompagnarti.
Sei partito dalle Alpi Apuane e da giovane hai vissuto a New York, Dublino e Colorado. Che ricordi hai?
All’estero a diverse latitudini ho vissuto la strada, Dublino e l’Irlanda me la porto nel cuore, la società orizzontale che hanno è molto interessante. Ho notato che da noi è molto più verticistico il sistema, quasi un monopolio. Là è semplice, è semplice introdursi, incontrare, produrre qualcosa. L’esperienza di strada è stata bellissima, ti interfacci con persone e altri musicisti. E poi da allora la matrice on the road mi è entrata dentro. Non ti so dire se sono dentro un filone in Italia o sto facendo un viaggio tutto mio. So solo che c’è verità in mezzo a tutto questo, amo un linguaggio sincero, quindi quando scrivo sono quello che sono. Saranno gli altri a dire che musica è.
Però nei tuoi pezzi non c’è solo allegria, sei molto vero anche in questo…
Un punto di delusione e amarezza a volte si percepisce, ma la mia è musica propositiva. Volevo parlare con questo album di uno slancio, quando le cose vanno male bisogna correre, è un disco energetico anche se le tematiche sono di tutt’altro tipo. L’esistenzialismo, la rabbia e la disillusione. Non so se voglio essere l’artista “leggero”. La musica la devi sentire, quando scrivo un brano voglio che ci siano più substrati. Non scrivo per intrattenere per indole mia.
Sei anche autore, ci sono brani che in questo disco hai inciso ma che in origine erano per altri?
Non sono mai stato strettamente autore. Non ho mai scritto per altri, ho sempre scritto per me stesso e gli altri hanno ascoltato e l’hanno voluto. Anche con Zucchero, lui ha sentito un brano e mi ha detto: che dici se lo risistemiamo e lo lavoriamo assieme? Non ho mai lavorato su commissione. Mi rincuora sapere che quello che scrivo ha un riscontro, significa che sono sulla buona strada. Se un ragazzo di 20 anni scrive qualcosa che tocca un uomo di 50 anni significa che quello che è detto ha un valore, anche in termini anagrafici.
Che rapporto hai con Luciano Luisi, il tuo produttore che lavora con Ligabue?
Luciano ha prodotto il disco e per me è un fratello maggiore, davvero un amico, che ho coltivato con il lavoro. Suono con la mia band e questo dà un sapore già live alle canzoni. Io sono un fan di Springsteen, adoro il suo linguaggio. Alcune canzoni nascono come piano e voce, chitarra e voce. Ho un’idea, ma non la finisco e poi vado un studio con i musicisti. A me piace scrivere con la band, mi appendo alla struttura del brano, che è rappresentata da giri armonici e melodia. Poi entro in studio con la band e suoniamo e strada facendo si ottimizza il brano.
Christian D'Antonio (Salerno, 1974) osserva, scrive e fotografa dal 2000. Laureato in Scienze Politiche, è giornalista professionista dal 2004. Redattore di RioCarnival. Attualmente lavora nella redazione di JobMilano e collabora con Freequency.it Ha lavorato per Panorama Economy, Grazia e Tu (Mondadori), Metro (freepress) e Classix (Coniglio Ed.)