Sono passati quarant’anni dalla prima apparizione dei Duran Duran a Sanremo, eppure i media italiani continuano a raccontare la stessa storia: fanatismo, isteria collettiva e il famoso piede rotto di Le Bon. Come se, nel frattempo, non fosse successo nient’altro nelle vite della band e dei loro fan.
È una fissazione che ancora oggi alimenta lo stereotipo della “duraniana isterica” e riduce una band che ha segnato la storia musicale degli anni ’80 a un mero fenomeno di costume, spostando l’attenzione dalla Musica al folklore.
Domani, i Duran Duran torneranno sul palco dell’Ariston, a quarant’anni dalla loro indimenticabile prima volta a Sanremo. Ma quale sarà la narrazione questa volta?
“Le cronache dell’epoca raccontano che un’invasione così a Sanremo non si era mai vista – si legge sul sito della Rai – ragazzine urlanti pronte ad assaltare l’Ariston, orde di paninari con i loro piumini e le toppe sui jeans, presidi medici per soccorrere crisi isteriche e svenimenti negli angoli delle vie principali. Era il 9 febbraio del 1985, il giorno in cui i Duran Duran, rispondendo all’invito di Pippo Baudo, conquistarono l’Italia”.
Per molti, quello fu l’inizio italiano della duran-mania, un fenomeno mondiale che era iniziato anni prima in UK, USA, Canada e molti paesi Europei ed Asiatici,paragonabile solo a quello che, negli anni ’60, aveva accompagnato l’arrivo dei Beatles in America, tanto che all’epoca la band fu ribattezzata “The Fab Five” e fu considerata la principale esponente della seconda British Invasion nel mondo.
Ma dopo quarantacinque anni di carriera è davvero ancora questa l’unica storia che si riesce a raccontare in Italia sui Duran Duran?
Gli svenimenti delle ragazzine a Sanremo 85 sono davvero tutto ciò che vale la pena ricordare, quando si parla di una band che ha creato un sound personale ed immediatamente riconoscibile, venduto oltre 100 milioni di dischi, 30 singoli nella Top 40 di Billboard, una stella sulla Walk of Fame di Hollywood, due Grammy, otto premi alla carriera, decenni di tournée di successo ed un Maestro come il grandissimo David Lynch che ha voluto dirigere nel 2011 il film del loro concerto?
“The Wild Boys è stato un vero inno transgenerazionale” – commenta Fabio Catena, psicologo ed esperto di comunicazione, oltre che fan storico della band – “I Duran Duran, in quel momento, incarnavano il concetto di superstar meglio di Michael Jackson o Madonna, e la loro apparizione a Sanremo ‘85 è rimasta impressa non solo nella mente di noi fan, ma di chiunque (in Italia) fosse vivo in quel periodo storico. In Italia, l’equazione Duran Duran = The Wild Boys esisterà sempre. Non perché il resto della loro carriera sia irrilevante, ma perché quel momento è stato semplicemente iconico. È un po’ come Daniel Radcliffe: può girare tutti i film che vuole, ma sarà sempre Harry Potter. Questo non significa che i suoi film futuri saranno brutti o insignificanti. Per quanto ne sappiamo, potrebbe persino realizzare un capolavoro e vincere un Oscar! Per il pubblico generalista, però, il suo nome resterà sempre legato a Harry Potter, perché quel personaggio ha avuto un impatto troppo profondo e iconico sulla cultura popolare.”
L’immagine della band, costruita all’epoca e poi negli anni dai media italiani, ha influenzato profondamente l’opinione pubblica in Italia, generando un condizionamento che persiste ancora oggi e coinvolge anche le generazioni successive. La televisione e, soprattutto, la stampa generalista hanno raccontato i Duran Duran maggiormente attraverso il fenomeno dell’isteria collettiva della duranmania che attraverso la loro musica.
Stando a quanto riportato dalla stampa e dalle dichiarazioni di Carlo Conti, i Duran Duran sono stati invitati a Sanremo per riportare sul palco The Wild Boys, a 40 anni dalla loro storica esibizione all’Ariston nel 1985. Un evento unico e irripetibile, di grande valore per i fan.
Tuttavia, questa scelta rischia di alimentare l’equivoco, nell’opinione pubblica, che la band si sia fermata agli anni Ottanta e non abbia prodotto nulla di rilevante nei decenni successivi. Come se non fossero al livello di artisti come U2 o Bon Jovi, per citarne alcuni.
“U2 e Bon Jovi – continua Fabio Catena – sono considerati (da un pubblico generalista) musicisti migliori, più “credibili”. Tutto vero. Ma non hanno mai avuto nemmeno una frazione di quello che i Duran Duran hanno vissuto nel nostro Paese nell’85. Milioni di ragazzine si facevano chiamare Tizia Le Bon o Caia Taylor. Non conosco molte Tizia Vox o Caia Bongiovanni. Le riviste musicali e per teen ager basavano le loro vendite sulla presenza di un poster dei Duran Duran da staccare praticamente ogni settimana. Il delirio collettivo era tale che, quando i Duran erano ospiti nei programmi più seguiti (Arcadia a Fantastico o Sanremo), la TV di Stato dedicava lunghi minutaggi (in prima serata) a mostrare migliaia di fan in delirio che assaltavano il Delle Vittorie o l’Ariston. Scene che non si sono viste per nessun altro artista, né prima né dopo. Simon Le Bon era “quello che tutte volevano sposare”, e chi ha la mia età si ricorda che, più o meno, era esattamente così. In quegli anni la parola “duraniano” (fan del gruppo musicale britannico Duran Duran” è stata ufficialmente inserita nel vocabolario della lingua italiana. Tutto questo hype, tutto questo amore dei fans, ha però rappresentato un’arma a doppio taglio. Come se i poster, il delirio, gli svenimenti delle ragazzine debbano necessariamente essere l’unico aspetto dei Duran Duran. Come se l’avere delle bellissime facce e dei bellissimi vestiti e l’essere pionieri dell’uso del videoclip o dei megaschermi nei concerti dal vivo debba necessariamente equivalere al non avere una sostanza musicale. Una valutazione veramente grossolana, se si pensa che parliamo di una band che ha fatto la storia della musica, ha collaborato coi nomi più grandi ed è considerata modello di riferimento da grandi artisti delle generazioni successive, mi vengono in mente i Muse, Justin Timberlake, o, per restare in Italia, Morgan”.
All’estero, in effetti, è tutta un’altra storia. Chi ha recentemente assistito a un concerto dei Duran Duran negli Stati Uniti sa bene quanto il pubblico internazionale, non solo i fan, sia attento e curioso nei confronti delle nuove produzioni discografiche della band, oltre che delle loro hit storiche.
Al Madison Square Garden di New York, la sera di Halloween, in un tutto esaurito, la band ha incantato il pubblico con uno spettacolo dal vivo straordinario, arricchito dalla presenza di performer, ballerini e drag queen. Un’esibizione che ha confermato la propensione all’inclusività e al genderless, già radicata negli artisti della cosiddetta British Invasion. Due ore di musica potente, un wall of sound di canzoni senza tempo, che partiva dal palco e si mescolava con l’energia e l’entusiasmo provenienti dalla platea, con i visual dark e pop sui grandi schermi, non è un caso che i Duran Duran siano citati nell’autobiografia di Andy Warhol e abbiano collaborato con artisti come Keith Haring o Patrick Nagel. Una band pluripremiata che, solo pochi anni fa, è stata introdotta nella mitica Rock and Roll Hall of Fame.
Aspettiamoli, a Sanremo. Cercando di ricordare con piacere ed un pizzico di divertimento gli anni della duranmania, ma contemporaneamente aprendo le orecchie ed il cuore per goderci la musica senza tempo dei Duran Duran ed accorgerci che è stata la colonna sonora non solo di Sanremo ’85, ma di quarant’anni della nostra vita.
I Duran Duran saranno in tournèe in Italia nel mese di giugno, per quattro appuntamenti live.
La band suonerà a Roma per due date consecutive, al Circo Massimo, il 15 e 16 giugno poi a Bari per l’unica data in esclusiva al SUD, presso la Nuova Fiera del Levante il 18 giugno. A seguire a Milano, per gli I-Days presso l’Ippodromo Snai, il 20 giugno.
I biglietti del tour, in vendita su questo link: https://duranduran.com/tour/