Il Festival berlinese People ci ha davvero stupiti e lasciati senza parole, è stata una esperienza davvero unica.
Durante il week end del 18 e 19 Agosto si è tenuto in Germania, a Berlino, questo Festival incredibile lanciato nel 2016 e chiamato – appunto – “People”. Un progetto sperimentale ed all’avanguardia, ideato e prodotto da Aaron Dessner, Bryce Dessner, Justin Vernon, Nadine Michelberger e Tom Michelberger. L’intero progetto ha coinvolto 160 artisti, i quali si sono alternati durante le due giornate su 6 palchi, all’interno di una grande struttura denominata ‘Funkhaus’.
Erano presenti sia artisti poco noti, che altri conosciuti al grande pubblico. La manifestazione prevedeva un’affluenza di circa 5mila persone, il cui ingresso presso la venue era suddiviso in una decina di gruppi, che hanno potuto assistere alle performance secondo un percorso guidato. Ovvero, ad ogni partecipante di ogni singolo gruppo è stato assegnato un wristband, con l’indicazione di un numero e l’accesso a diverse sale precedentemente assegnate, senza la possibilità di cambiare la sala o il numero del gruppo per assistere volontariamente alle esibizioni di artisti, musicisti, cantanti. In poche parole, senza la possibilità di scegliere chi seguire esattamente. Funzionava così, tutto era assolutamente casuale.
La possibilità di riuscire a vedere un determinato cantante o musicista era pressoché nulla, poiché erano veramente moltissimi gli artisti, numerosi i gruppi di ascolto predefiniti, i palchi erano solo 6 ed il tutto si sarebbe svolto in due giornate, più o meno dalle ore 14.00 alle 20.00. Successivamente, in un’area aperta e condivisa a tutti i gruppi si sarebbero esibiti sul palco vari artisti a sorpresa, durante la sera.
La particolarità di questo straordinario Festival è proprio questa, è una esperienza sensoriale e lontana dal modo di vivere la musica dell’Era moderna: gli artisti interagiscono tra di loro, in uno scambio creativo e culturale impagabile e vivono una esperienza a dir poco straordinaria, sia dal punto di vista professionale che umano poiché artisti minori, se possiamo così definirli, hanno modo di confrontarsi con artisti conosciuti e gli stessi artisti “famosi” (per usare un termine comprensibile ai più) dimenticano, per il periodo della manifestazione, “chi sono” e partecipano a questo scambio creativo lontano da riflettori e dai Media. “Zero Ego”, insomma.
Inoltre, sia chi partecipa al Festival come audience, sia che coloro che si esibiscono, non sanno esattamente cosa accadrà, tutto è basato sull’improvvisazione e l’effetto sorpresa, la “casualità” e le coincidenze. Per un “fan” di un determinato artista o di una band, riuscire magari a vedere la performance di un determinato artista è davvero quasi impossibile, ma a volte accade è la gioia negli occhi di guarda e ascolta è amplificata, proprio per questo effetto sorpresa. Allo stesso tempo il momento è unico e irripetibile. Questo è quello che abbiamo potuto notare durante le due giornate del Festival berlinese.
Prodotto e creato dagli artisti in piena libertà, il Festival non prevedeva headliners o band, non ci sono stati sponsor o brand, nessun compenso e nessun programma. Tutto prendeva vita sul momento, generato dall’interazione tra gli artisti con tutti i partecipanti.
Tutto è ora presente nei ricordi di chi ha avuto la fortuna ed il piacere di partecipare agli eventi.
Tra le esibizioni alle quali abbiamo l’onore di assistere – che rappresentano una esperienza unica, intima e personale – ci piacerebbe ricordare un commovente tributo a Leonard Cohen, che ha lasciato i presenti senza fiato, introdotto dal figlio Adam alla presenza di Damien Rice; Erlend Øye; Mariam The Believer; Sam Amidon e la band inglese The Staves; Justin Vernon e Ragnar Kjartansson. Presenti anche il coro giovanile dei Cantus Domus e la violoncellista islandese Gyða Valtýsdóttir.
Luana Salvatore
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